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Poesia di Lorenzo De Donno

Non è ancora giorno ma sono già sveglio, e ho una strana agitazione addosso. Provo a scrivere con la stilografica sul mio taccuino. È da troppo tempo che il numero delle pagine bianche è invariato e da altrettanto tempo ho scoperto che un taccuino da scrittore fa scena ma non è, di per sé, un catalizzatore di buone ispirazioni. Ascoltare  il pennino che graffia la carta, lasciando inciso  il suo segno nero, però fa compagnia. L'odore di tipografia  dell'inchiostro liquido è evocativo, quasi inebriante. Ma non devo scrivere una lettera d'amore, né inventarmi una storia, né trascriverne una rubata in una delle mie scorribande fra la gente.

La stilografica suona, non è come una biro. Suona note basse e morbide sugli ovali, sulle curve, e note alte e quasi stridenti sulle aste, fa pause secche sui punti.  Suona a prescindere da quello che scrivi. È una penna che ti costringe a riflettere, perché oppone resistenza e,  spesso, si allea con virgole impazzite. Quelle  virgole che decidono di trasgredire le regole della punteggiatura e di affiancare le parole,  quando su queste vuoi fermarti  a riflettere.

Ora che è già luce, ripongo la stilografica nello stipo, in un vecchio, delicatissimo, bicchiere degli anni 50,  con disegno a smeriglio. Me la tiene in posizione eretta, perché l'inchiostro nero rimanga nel serbatoio e non intasi il pennino.

Dover  copiare tutto questo sullo smartphone è un fastidio. Potrei abbinare alle lettere dell'alfabeto delle note  musicali, invece del "tic tic"  che simula un'improbabile macchina da scrivere. E' una possibilità datami dallo strumento. Sarebbe, comunque, una brutta musica.

Lorenzo De Donno - Maglie